sabato 6 gennaio 2018

Jazz vocale al maschile (parte I) [repost rinnovato]

Pubblicato la prima volta circa nove anni fa, nel corso del tempo questo post ha perduto tutti i brani che ne completavano il testo, perdendo così gran parte dell'interesse, avuto inizialmente, suffragato dalla grande quantità di visualizzazioni. Accontentando le richieste di molti ho provveduto a rinnovarlo, inserendo una playlist contenente tutti i brani citati nel testo.








Nell'autunno del 1959, ebbi l'occasione di ascoltare al Teatro Alfieri di Torino un concerto di Jimmy Rushing (1901-1972), in tournée in Europa, accompagnato da un gruppo di ex componenti della Big Band di Count Basie, guidati da Buck Clayton. Era la prima volta che ascoltavo dal vivo un vero cantante jazz. Quel signore quasi sessantenne, basso e grasso, detto anche, scherzosamente, “Mr. Five by Five” (ovvero “5 piedi d'altezza per 5 piedi di larghezza”, più largo che lungo), emanava una vitalità musicale straordinaria, e sfoderava una voce prorompente piena di energia e di ritmo che mi affascinò particolarmente e stimolò il mio, tuttora esistente, interesse per il canto jazz ed in suo omaggio ho aperto con un suo brano: Am I Blue accompagnato dal quartetto di Earl Hines con al sax uno strepitoso Budd Johnson.




Non si può parlare di canto jazz senza chiamare in causa colui che è considerato universalmente il più grande, l'inventore del canto jazz: Louis Armstrong (1901-1971).


Dalla sua sterminata discografia ho tratto una versione di Solitude in cui è accompagnato al piano da Duke Ellington. 


Passando ad una generazione successiva troviamo Bill Henderson (1930), talentuoso e versatile artista, cantante, attore che, alla fine degli anni '50, si dedicava all'hard-bop, realizzando diversi album interessanti.


Il brano proposto è una eccellente versione vocale di Moanin', composto dal pianista Bobby Timmons per i Jazz Messengers di Art Blakey e divenuto una sorta di inno di quell'epoca. Accompagnano Henderson, fra gli altri, Booker Little alla tromba e Yusef Lateef al sax.


Altrettanto interessante, anche se differente, è l'apporto dei cantanti bianchi al jazz. Fra questi spicca in assoluto “The Voice” Frank Sinatra (1915-1998), che pur avendo esordito con Harry James e Tommy Dorsey, di fatto, raggiunto il successo, non è mai stato considerato un “jazzista”.


Tuttavia le sue straordinarie capacità vocali, la sua versatilità, il suo rapporto con i testi, non disgiunto dal suo interesse per il jazz (adorava Billie Holiday, divenuta per lui una specie di modello) lo hanno spinto a collaborare con grandi maestri del calibro di Count Basie, Woody Herman, Duke Ellington realizzando storici albums. Da quello con Ellington è tratta la splendida versione di Sunny.


Agli antipodi di Sinatra per capacità vocali, ma non per estro artistico, si colloca, a mio avviso, Bob Dorough (1923), stravagante, estroverso, ironico poeta, pianista e cantante,


a metà strada fra l'esistenzialismo e la beat generation, fu anche uno degli antesignani del “vocalese” e nel 1956 realizzò una versione di Yardbird Suite che resta uno dei classici del Be-bop.

Coetaneo di Sinatra e suo “black” alter-ego è stato Billy Eckstine (1914-1993), detto anche “the sepia Sinatra”, che nei primi anni '50 rivaleggiò con lui in popolarità. Nato come trombonista e band leader, la sua orchestra fu la fucina del bebop da cui uscirono Dizzy Gillespie, Charlie Parker, Sarah Vaughan e molti altri, con la crisi delle big band si dedicò esclusivamente al canto, diventando l'artista di colore più popolare di quegli anni.


Qui lo ascoltiamo in una versione di How High the Moon, del 1953, accompagnato dalla Metronome All Stars, comprendente fra gli altri Lester Young, Roy Eldridge, Teddy Wilson ecc..


Altra interessante figura del periodo, coetaneo dei suddetti due, ma molto meno popolare fu Matt Dennis (1914-2002), noto più come compositore che come cantante, in quanto autore della musica di famosi successi di Frank Sinatra, Bing Crosby, Billie Holiday, ecc.. Sue sono Angel Eyes (testo di Earl Brent), Everything Happens to Me e Violet for Your Furs (testi di Tom Adair) e molte altre.


Come molti autori a un certo punto della carriera decise non solo di scrivere, ma anche di cantare accompagnandosi al piano, rivelandosi un interprete sensibile dal fraseggio morbido, raffinato che si apprezza al meglio quando esegue le sue composizioni, come si può appurare nella sua versione di Angel Eyes, il suo capolavoro.


Un altro cantante popolarissimo, italo-americano come Sinatra, che ha avuto eccellenti rapporti con il jazz, pur non essendo un “jazzista”, è Tony Bennett (1926), che ha collaborato spesso con jazzisti di fama, ricordo, fra gli altri, i due bellissimi albums realizzati con Bill Evans.


Qui lo possiamo ascoltare in un'ottima versione di Just Friends del 1964, accompagnato da un quartetto stellare: Stan Getz, Herbie Hancock, Ron Carter ed Elvin Jones.

Coetaneo “black” di Bennett è Ernie Andrews (1927), originario di Philadelpia, ma cresciuto ed affermatosi a Los Angeles, con un repertorio eclettico che va dal jazz, al pop e al R&B, collaborando con molti jazzisti di fama da Benny Carter a Harry James.


Qui lo ascoltiamo in Don't Be Afraid of Love tratto da un'esibizione Live del 1964 con il quintetto di Cannonball Adderley, comprendente fra gli altri Joe Zawinul al piano.


Di qualche anno più giovane ed altrettanto popolare è stato Lou Raws (1935-2006), non solo cantante, ma attore, doppiatore, star televisiva, molto apprezzato da Sinatra, secondo cui aveva: «il canto più di classe ed uno dei timbri più vellutati del mondo della musica».


Qui lo ascoltiamo in un Willow Weep for Me tratto dal suo album di esordio del 1962, accompagnato dal trio di Les McCann
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Con il prossimo post proseguiremo l'escursus cercando di ampliare la selezione il più possibile.

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